DAL DISSESTO ALLO SVILUPPO
Aree interne: opportunità per un riscatto economico e sociale
E’ stato detto come, oggi più che mai, possa essere utile un “ripensamento dell’economia dello sviluppo”: appare infatti inevitabile pensare a una riprogettazione degli assetti territoriali, coniugando le esigenze di tutela e salvaguardia ambientale con le ragioni del lavoro e dello sviluppo, se si vuole delineare una prospettiva che trasformi le aree interne del nostro territorio, da elemento di arretratezza a soggetto attivo di un riscatto economico e sociale della Calabria.
Giustino Fortunato, uno dei padri del meridionalismo, definiva la Calabria come uno “sfascio pendulo sulle coste del mare”, rappresentando in questo modo la straordinaria fragilità strutturale del territorio calabrese.
A fronte di questa consapevolezza, assistiamo, con una particolare accelerazione in questi ultimi anni, ad un graduale smantellamento e abbandono della manutenzione ordinaria e straordinaria del territorio, con la conseguenza che sono ormai diventati ordinari gli eventi, spesso tragici, di dissesto idrogeologico: la frana sulla A3 del gennaio scorso e tutta la catena di disastri ambientali dell’ultimo inverno in Calabria, ricordando poi le vicende di Cavallerizzo, di Vibo Valentia, di Crotone, di Soverato, per rimanere solo alla storia recente.
Al di fuori di una pratica di intervento meramente emergenziale, appare quindi evidente come la mancanza di una complessiva ed efficace programmazione regionale di politiche ed azioni per la prevenzione del dissesto idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio, produca le condizioni per un ulteriore fragilizzazione del tessuto territoriale, ed una conseguente precarizzazione del sistema sociale ed economico, che si accentua nelle aree più interne.
Si accentua anche perché, come è emerso nel corso dell’importante e utile conferenza promossa a marzo dall’Amministrazione Provinciale di Cosenza sul contrasto all’abbandono delle aree interne, il dissesto idrogeologico è simultaneamente causa ed effetto del fenomeno dello spopolamento: “causa” perché induce le popolazioni ad abbandonare gli abitati, “effetto” perché dall’abbandono delle terre ne consegue un peggioramento delle condizioni dei suoli (ad esempio, assenza di regimazione delle acque). Una condizione che evidentemente non favorisce, fra l’altro, qualsiasi tipo di investimento imprenditoriale, che contribuirebbe a determinare una tenuta demografica, innescando di fatto la spirale perversa dell’abbandono definitivo di pezzi importanti di territorio, soprattutto montano, con il conseguente degrado che si avvia a monte per poi produrre effetti, ovviamente anche a valle.
Appare evidente come sia quindi necessario riportare l’attenzione di tutti, dalla politica agli ordini professionali, dagli amministratori alle forze sindacali, ad una concezione del territorio come “bene pubblico”, piuttosto che oggetto degli assalti della speculazione edilizia e cementificatoria.
In questo contesto, abbiamo rilevato la costante coincidenza per la quale esiste una simmetria fra i processi di degrado e dissesto territoriale, i fenomeni di spopolamento e la progressiva “dismissione” riguardante il lavoro e la presenza degli operai idraulico-forestali.
Parlando infatti di interventi di manutenzione e tutela del territorio, ordinari e straordinari, riteniamo che un contributo determinante possano ritornare a darlo i lavoratori idraulico-forestali, in un contesto libero dalle influenze di carattere clientelare che hanno caratterizzato l’azione dei soggetti gestori e del “sottobosco” che gli si è progressivamente affiancato, con la giustificazione di dover intervenire in qualche modo sulla disoccupazione regionale.
Non si può negare infatti che un positivo contributo vi sia stato negli anni in cui è stata predisposta una progettazione coerente ed efficace, rispetto ad obiettivi di tutela e salvaguardia ambientale, riguardo agli interventi realizzati da parte di questi lavoratori. Flusso realizzativo consistente fino agli anni ’70, che poi non solo si è sconsideratamente interrotto, ma ha visto un successivo, colpevole abbandono e degrado delle opere stesse con un conseguente decadimento dell’azione di difesa e tutela del suolo.
Così come non si può negare un impatto positivo nel tempo da parte della gran parte dei lavoratori, riguardo le attività antincendio. Parliamo di un bacino di manodopera specializzata ed esperta, che ha svolto pure una notevole attività formativa, e che rappresenta anche in questo campo una preziosa risorsa. Sarebbe semmai opportuno che la Regione Calabria predisponesse ora, più adeguatamente ed in anticipo rispetto alla passata stagione, un Piano Antincendio per coordinare efficacemente i diversi soggetti coinvolti, attuando politiche di prevenzione, contrasto e repressione degli incendi boschivi. Non vorremmo che alle devastazioni delle piogge di quest’inverno, si aggiungessero d’estate quelle dovute agli incendi.
A questo proposito ribadiamo come questo sindacato abbia più volte manifestato la necessità di un’azione coerente della Regione Calabria, sia per rendere più efficace e qualificata la spesa della gestione del settore, eliminando qualsiasi tipo di spreco, che operando contestualmente sulla progettazione esecutiva degli interventi e sul Piano Attuativo Forestale, prevedendo quindi quelle opere necessarie per far uscire dall’incuria e dall’abbandono le aree interne, che i lavoratori hanno già dimostrato di saper realizzare, smentendo così la consistenza di tanti luoghi comuni.
Tutto ciò trova conferma nella relazione del sindacato confederale unitario riguardo le linee di indirizzo relative all’A.Fo.R., pensando alle enormi potenzialità e necessità di difesa, valorizzazione e recupero del territorio regionale, non solo forestale, che impongono una rinnovata azione unitaria dell’intervento pubblico, anche ipotizzando la costituzione di un’azienda unica di intervento nei settori idraulico-forestale, prevenzione rischi, controllo e manutenzione del territorio.
Pensiamo quindi che sia indispensabile avviare nella nostra regione un Piano straordinario per il lavoro nel settore della salvaguardia ambientale e della forestazione. La necessità di definire adeguatamente gli interventi per la tutela e per la salvaguardia, in un quadro di interventi che realizzino la messa in sicurezza del territorio, prevedendone una continuità temporale, con un patrimonio forestale regionale di oltre 480.000 ettari, ci portano a considerare che quella dei lavoratori idraulico-forestali non possa diventare una categoria ad esaurimento, perché in questo modo anche le popolazioni montane e dell’entroterra diventerebbero più facilmente e rapidamente ad esaurimento, così come si esaurirebbe prima la risorsa che il territorio rappresenta, con le conseguenze che sono di fronte a tutti noi.
Tanto più ciò è vero, se consideriamo, oltre al capitolo degli interventi protettivi e di salvaguardia territoriale, anche quanto è possibile realizzare in termini più concretamente produttivi, riguardo soprattutto al patrimonio boschivo e forestale:
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sviluppo della filiera produttiva del legno ai fini energetici (di biomasse, pellets, ecc.), e per l’industria del mobile (con specie arboree pregiate), prevedendo ad esempio piani di rimboschimento in aree degradate o colpite da incendi;
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sviluppo dell’infrastrutturazione ai fini turistici, ambientali e culturali, riguardanti la sentieristica, la cartellonistica, la tabellazione, soprattutto nelle aree protette.
Per questo pensiamo necessariamente tanto ad un’innovazione gestionale di coinvolgimento di soggetti istituzionali, pubblici e privati, quanto ad un ricambio generazionale che, oltre ad avvalersi degli attuali lavoratori forestali, consenta l’impiego di nuove professionalità, competenze, saperi, conoscenze, spesso dispersi fuori dai confini regionali. Ricorrendo anche, se necessario, al lavoro a tempo determinato.
Sarà possibile realizzare questo, cominciando, e non lo diciamo solo noi, ad eliminare gli sprechi e riqualificando la spesa nel settore della forestazione regionale, recuperando quindi risorse finanziarie dal versante regionale, nazionale e comunitario, sapendo che da quest’ultimo versante la Calabria avrà la disponibilità, entro il 2013, di oltre 7 miliardi di euro.
I Laboratori Territoriali di Progettazione, in coerenza con quanto fin qui realizzato nei Tavoli di Partenariato Provinciale, nell’evoluzione della programmazione regionale unitaria 2007-2013, riteniamo debba tenere consistentemente in considerazione anche di quanto si è fin qui argomentato, definendo le condizioni per la predisposizione di specifici progetti, fin dalla fase di costituzione dei “Partenariati di Progetto ed Elaborazione delle Proposte di Progetti Integrati di Sviluppo”, finalizzando nel miglior modo possibile le risorse comunitarie disponibili, in particolare nelle zone in maggior ritardo di sviluppo come le nostre aree interne, nell’ottica dell’integrazione progettuale territoriale rispetto ad un contesto regionale ed interregionale, coniugando salvaguardia ambientale ed effettivo impulso allo sviluppo del territorio.
A sostegno di queste argomentazioni, riteniamo possa considerarsi anche il contenuto del Protocollo di Intesa per Nuove Politiche di Sviluppo Territoriale nell’area del Parco Nazionale del Pollino, finalizzato ad un successivo Accordo di Programma od altri atti d’intesa, quando, prevedendo in innovativo modello di governance interistituzionale per il coordinamento delle politiche territoriali di valorizzazione delle risorse naturali e culturali, promuove appunto la costituzione di Progetti Integrati di Sviluppo di valenza regionale o interregionale, in attuazione delle politiche pubbliche inscrivibili al ciclo di programmazione 2007-2013.
A tal fine si è delineato un percorso progettuale che intende utilizzare l’intera gamma degli attuali strumenti della programmazione 2007-2013:
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il FAS (Fondo Aree Sottoutilizzate);
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I POR (Programmi Operativi Regionali) del FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) con attenzione sugli Assi II, III e V, e del FSE (Fondo Sociale Europeo);
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i PSR (Programmi di Sviluppo Rurale) del FEASR (Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Rurale), con attenzione su tutti e 4 gli Assi;
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i POIN (Programmi Operativi Interregionali Nazionali) del FESR.
Per questo sarà quindi auspicabile che la progettazione promossa nell’ambito del Protocollo per il Parco, concorra alla realizzazione del Piano per il lavoro nel settore della salvaguardia ambientale e della forestazione da noi proposto, avviandone sperimentalmente una immediata realizzazione nel territorio del Parco, nei termini operativi sopra esposti.
A completamento di questo ragionamento analitico e propositivo, possiamo affermare che si intende trovare così maggiore spazio per gli interventi più innovativi, in particolare quelli finalizzati alla diversificazione delle fonti di reddito e al miglioramento delle condizioni occupazionali, economiche e di vita nei paesi, nelle frazioni, nelle aree rurali, arginandone lo spopolamento, coniugando tutela del territorio e del paesaggio, con l’attivazione delle filiere bioenergetiche e delle produzioni tipiche e di qualità, e puntando ad un miglioramento e ad una qualificazione dell’offerta e promozione delle produzioni agroalimentari: in buona sostanza puntando alla valorizzazione del territorio come risorsa per lo sviluppo.
Diventa quindi determinante delineare un quadro progettuale che, partendo dai temi della salvaguardia territoriale, si sposti verso la promozione e valorizzazione delle aree interne come soggetti attivi di una riqualificazione produttiva.
Temi tutti ben presenti, come già detto, nei 4 Assi del PSR, la cui comprensione in un percorso di progettazione tesa al recupero per il mercato globale di tutto il ventaglio delle produzioni agroalimentari tipiche e di qualità caratteristiche dell’entroterra (puntando, ad esempio, anche al “biologico”), che è possibile sostenere e promuovere, determinerebbe un’opportunità fondamentale alla costruzione per le aree interne di un’opportunità di riscatto economico e sociale utile allo sviluppo di tutto il contesto territoriale, regionale e nazionale.
Appare a tal proposito scontata la necessità di porre le condizioni per dialogare efficacemente con le realtà produttive più strutturate ed affermate sul mercato, a partire da quelle rappresentate dal Distretto Agroalimentare di Qualità di Sibari, intrecciandone piani e prospettive progettuali.
In questa direzione, un salto di qualità decisivo, anche dal punto di vista dell’azione sindacale, deve essere realizzato anche nella progettazione che si produrrà in attuazione di quanto previsto dall’Asse 4 del PSR con l’approccio “Leader”, attraverso i GAL con i PSL, attraverso cioè un più diretto protagonismo territoriale. Salto di qualità che, in ogni caso, deve essere realizzato complessivamente nei territori, riguardo la loro capacità di determinare percorsi progettuali per una reale prospettiva di sviluppo socio-economico, piuttosto che per bilanciamenti di carattere politico-istituzionale. Questa veramente rappresenterebbe una colpa grave per gli attori di ogni ambito territoriale, se non fossero capaci di delineare le condizioni per contribuire a costruire uno sviluppo “dal basso” utilizzando virtuosamente le risorse disponibili, perché non è possibile prevedere oggi di quali altre opportunità, paragonabili a queste,si potrebbe disporre in futuro.
Così come rappresenta veramente una svolta utile allo sviluppo delle aree interne, in una logica di effettiva volontà di rivitalizzazione anche produttiva per territori omogenei, piuttosto che per una semplice captazione di risorse pubbliche non opportunamente finalizzata, la costituzione dei Distretti Rurali, per come previsto dalla L.R. n. 21 del 13.10.2004, basati su un ampio partenariato locale multisettoriale ed integrato.
In coerenza con tutto ciò, appare quindi per noi opportuno rilanciare in termini di specificità territoriale, i contenuti dell’Accordo Sottoscritto nel gennaio u.s. fra gli Assessorati Regionali all’Agricoltura delle Regioni Obiettivo Convergenza ed il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, riguardante il PON “Ricerca e Competitività” – Proposte progettuali nel settore agroalimentare, zootecnico e forestale, avviando da subito nell’ambito del Protocollo per il Parco, la realizzazione di una specifica progettazione volta a rafforzare e valorizzare i sistemi produttivi dell’area del Parco Nazionale del Pollino, di questa colossale risorsa territoriale rappresentata dalla più grande area protetta d’Italia.
Castrovillari, 21.5.2009
Michele Tempo
Segretario Generale FLAI CGIL Comprensoriale